Il M5S sfiducia il Governo dei petrolieri Renzi(PD) – 19 Aprile 2016 ore 16.30

Oggi alle 16.30 verrà discussa e votata al Senato della Repubblica la sfiducia del MoVimento 5 Stelle al Governo delle lobby del petrolio e delle banche, mandiamo a casa il Governo Renzi !

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MOZIONE DI SFIDUCIA AL GOVERNO

(1-00551) (5 aprile 2016)

CATALFO, AIROLA, BERTOROTTA, BLUNDO, BOTTICI, BUCCARELLA, BULGARELLI, CAPPELLETTI, CASTALDI, CIAMPOLILLO, CIOFFI, COTTI, CRIMI, DONNO, ENDRIZZI, FATTORI, GAETTI, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MARTON, MONTEVECCHI, MORONESE, MORRA, NUGNES, PAGLINI, PETROCELLI, PUGLIA, SANTANGELO, SCIBONA, SERRA, TAVERNA – Il Senato,

preso atto che:

il programma di governo costituisce l’essenza del rapporto fiduciario dell’Esecutivo con il Parlamento e rappresenta, altresì, il parametro costante di riferimento su cui è valutabile la sua responsabilità politica;

nel corso del suo mandato, il Governo Renzi ha adottato numerosi provvedimenti rivelatisi, a parere dei proponenti non solo idonei a configurare i profili tipici del conflitto di interesse in capo a esponenti governativi, ma funzionali a esigenze delle maggiori lobby economiche del Paese, quali quelle bancarie, finanziarie e petrolifere;

i fatti riportati dimostrano a giudizio dei proponenti l’esistenza di comportamenti governativi sanzionabili, sia sotto il profilo politico sia, ove confermate le risultanze di indagini in corso, sotto quello penale, mediante cui il Governo, attraverso i suoi membri, avrebbe abusato dei suoi poteri e violato i suoi doveri;

sulla base dell’articolo 93 della Costituzione e ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica, nonché di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e «di esercitare le funzioni nell’interesse esclusivo della nazione»;

valutato, infatti, che:

la recente indagine della Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Potenza (soltanto l’ultima in ordine temporale) condotta anche attraverso il supporto di intercettazioni telefoniche, svela l’operato di un articolato e consolidato «comitato d’affari», che occupava la scena e il retroscena governativo, per garantire gli interessi di rilevanti compagnie petrolifere e di società legate a soggetti in rapporti personali con membri dell’Esecutivo, anche in relazione a esponenti della classe politica locale e nazionale;

nell’ambito degli atti concernenti i procedimenti penali in corso, emergerebbero, in particolare, le posizioni dell’ex Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, del sottosegretario di Stato pro tempore per lo sviluppo economico, Simona Vicari, attualmente sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti, del sottosegretario di Stato per la salute, Vito De Filippo, del capo di Stato maggiore della Marina militare, Giuseppe De Giorgi, nonché di altri imprenditori, esponenti politici e funzionari pubblici di vario livello;

considerato, in particolare, che:

in data 31 marzo 2016, il Ministro dello sviluppo economico ha rassegnato le dimissioni, dopo che sono stati resi noti a mezzo stampa i contenuti di intercettazioni telefoniche (risalenti al periodo novembre/dicembre 2014), in cui, parlando con il proprio compagno, Gianluca Gemelli, il Ministro gli avrebbe garantito il via libera a un emendamento del Governo al disegno di legge di stabilità per il 2015, all’epoca in discussione al Senato, che sarebbe andato incontro ai suoi interessi imprenditoriali. In quella circostanza, il ministro Guidi avrebbe chiamato esplicitamente in causa il ministro Boschi, asserendo che la stessa fosse d’accordo con l’operazione connessa al citato emendamento, il cui effetto sarebbe stato quello di sbloccare opere relative al progetto di estrazione di petrolio “Tempa Rossa”, sul quale Gemelli e aziende particolarmente importanti, tra le quali Shell, Total, Mitsui, ENI e Tecnimont, avrebbero nutrito forti e diretti interessi. Come è poi effettivamente verificabile, il Governo presentava in Senato, dapprima in 5ª Commissione permanente (Programmazione economica, bilancio) e poi in Aula, ponendo sul medesimo testo la questione di fiducia, annunciata dallo stesso ministro Boschi in data 19 dicembre 2014, proposte emendative contenenti le disposizioni anticipate dal Ministro dello sviluppo economico al proprio compagno, il quale sarebbe accusato di traffico di influenze illecite nell’ambito dell’inchiesta della procura di Potenza su illeciti legati alla gestione dei rifiuti nel centro Eni di Viggiano e sull’impianto di Tempa Rossa nella Val d’Agri. In tale indagine è ipotizzato il reato di disastro ambientale e sono contestati anche i delitti di abuso d’ufficio e associazione per delinquere;

in particolare, l’emendamento citato, confluito nella legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, commi 552-554), estende il regime di autorizzazione unica alle opere e infrastrutture necessarie e indispensabili per assicurare lo sfruttamento di titoli concessori relativi agli idrocarburi. Sono dunque assimilate alle opere strategiche, per quanto concerne il procedimento di autorizzazione, quelle necessarie al trasporto, stoccaggio, trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento di titoli concessori, comprese quelle localizzate fuori dal perimetro delle concessioni di coltivazione. Tali autorizzazioni sono rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con le Regioni interessate (nel caso in esame, quindi, d’intesa con la Regione Puglia). In caso di mancato raggiungimento delle intese, gli atti vengono rimessi alla Presidenza del Consiglio dei ministri. L’emendamento alla legge di stabilità finiva, dunque, col riconoscere al Ministro dello sviluppo economico (e anche, soprattutto, alla Presidenza del Consiglio) il potere di concedere le autorizzazioni alle società del settore petrolifero per tutte quelle opere ed infrastrutture che potevano agevolare la fase di stoccaggio e trasporto del materiale. Ciò riguardava direttamente le opere, nelle aree di Taranto e della Regione Basilicata, in relazione alle quali, in quelle stesse settimane, una complessa rete di interessi premeva per lo sblocco normativo delle procedure e per le quali, successivamente, sarebbe emerso un complesso di illeciti attualmente oggetto di diversi filoni di indagine;

il ministro Guidi, che mai, dal dicembre 2014 fino al momento in cui ha rassegnato le dimissioni per lo scandalo emerso, ha rivelato gli interessi imprenditoriali del proprio compagno nel campo interessato dai provvedimenti governativi in itinere, né tantomeno la conversazione, in cui anticipava un emendamento governativo funzionale a tali interessi e a quelli di imprese del settore estrattivo petrolifero, era già stata oggetto, sin dal febbraio 2014, di una mozione di sfiducia individuale presentata in Senato dal MoVimento Cinque Stelle, ma mai discussa (1-00221), in cui già si evidenziava l’intreccio tra gli interessi pubblici e aziendali, personali e familiari, che non la rendevano idonea al proprio delicato mandato. Nonostante la fondatezza, lampante già all’epoca, ma constatabile ora in tutta la sua evidenza, delle ragioni poste alla base di tale atto di sfiducia, il Ministro ha potuto continuare a dirigere a lungo il Dicastero. Si tratta di un Ministero, del quale ora ha assunto l’interim il Presidente del Consiglio dei ministri, competente, fra l’altro, in materia di: comunicazioni, concorrenza, liberalizzazioni, competitività del sistema imprenditoriale, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, nomina, sostituzione e revoca dei commissari liquidatori; politica energetica nazionale, comprese le reti di trasporto e le infrastrutture energetiche. Con quali modalità il Ministro abbia interpretato il proprio ruolo sta emergendo dall’inchiesta della magistratura, cui spetta il compito di analizzare le eventuali responsabilità personali. Ciò che, in questa sede, rileva è che tutto questo sia avvenuto, senza che nessun membro del Governo, a cominciare dal Presidente del Consiglio dei ministri, il quale dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile, ponesse il problema del conflitto di interessi del Ministro o, peggio, senza che se ne avvedesse: conflitto che si trasferisce in capo a tutto il Governo, nel momento in cui il Presidente del Consiglio dei ministri assume, e anzi rivendica, la responsabilità di un emendamento, quale quello oggetto dell’indagine, che per il proprio contenuto e le sue ricadute aveva da subito suscitato le forti, ma inascoltate, proteste del Gruppo parlamentare MoVimento Cinque Stelle;

come testimoniano, infatti, i resoconti stenografici delle sedute dell’Assemblea del Senato, in particolare quello del 19 dicembre 2014, il Gruppo M5S ha fatto chiaro riferimento all’impianto di Tempa Rossa e alle infrastrutture da realizzare nel porto di Taranto, indicando come l’emendamento in questione avrebbe arrecato un indubbio vantaggio per l’azienda Total e chiedendo di accertare se vi fossero stati contatti con tale o eventuali altre aziende riguardo all’emendamento medesimo. Si apprende, inoltre, che l’inchiesta della magistratura vede indagato per traffico di influenze proprio un dirigente della Total e che vi sarebbe altresì traccia, negli atti di indagine, di incontri, nel novembre 2014, tra il ministro Guidi, i rappresentanti della Total e il sottosegretario Simona Vicari. Emergerebbero, inoltre, interessi di altre aziende, oltre alla Total, nonché di più Ministeri, che sarebbero coinvolti nell’approvazione della norma in questione, sfociati anche nell’attività di sottosegretari e viceministri, in occasione del tentativo di concretizzare le disposizioni in oggetto, nell’ambito dell’iter di altro decreto-legge del Governo. Gli organi di stampa riferiscono, altresì, di svariati incontri avvenuti in ambiti ministeriali, in taluni dei quali avrebbero avuto luogo promesse di interessamento del Governo, ottenute, sempre nell’ipotesi accusatoria, in cambio di favori. Emergerebbe soprattutto l’attività, oltre che del dimissionario Ministro dello sviluppo economico, di esponenti politici e funzionari della Presidenza del Consiglio dei ministri e, dunque, anche la responsabilità amministrativa, dati i ruoli istituzionali ricoperti, da parte della Presidenza del Consiglio medesima, nelle persone del Presidente del Consiglio e del Ministro per i rapporti con il Parlamento. Risulta infatti sempre più chiaro dai riscontri documentali, il ruolo che la Presidenza del Consiglio dei ministri, ancor più che il Ministero dello sviluppo economico, avrebbe assunto nella vicenda;

diversamente da ciò che accade nelle aule parlamentari, in cui i resoconti stenografici consentono con la massima trasparenza e pubblicità la lettura dei fatti, l’attività normativa dei ministeri, nelle cruciali fasi preparatorie degli atti (solo alcuni dei quali sono poi destinati a un passaggio parlamentare pubblico) rimane in gran parte riservata, vale a dire oscura nei dettagli. È pertanto assolutamente imprescindibile comprendere come quel disposto normativo abbia materialmente avuto origine, quali interessi privati siano stati consultati, prima che esso vedesse la luce (o comunque in vista della sua predisposizione) e chi lo abbia effettivamente redatto negli uffici ministeriali. È altresì necessario sapere se abbiano effettivamente avuto luogo contatti preventivi con le aziende interessate, anche a livello internazionale, quali esponenti politici e funzionari pubblici, in ragione dei rispettivi ruoli, siano stati preventivamente informati del contenuto e dell’intenzione del Governo di inserirlo nell’ambito del maxiemendamento, destinato ad approvazione certa, per la scelta di apporre la questione di fiducia. Va infatti ricordato che analoga proposta emendativa, sempre di iniziativa governativa, presentata in 5a Commissione permanente (Bilancio) al Senato, non era stata approvata (atto Senato 1698) e che circa due mesi prima, precisamente alle ore 5 di venerdì 17 ottobre 2014, una norma simile, presentata sempre dal Governo (emendamento 37.52 all’Atto Camera 2629), recante in calce la firma dell’allora sottosegretario, Simona Vicari, fosse stata dichiarata inammissibile per estraneità di materia, nell’ambito dell’iter di conversione del decreto-legge cosiddetto Sblocca Italia. Anche in quel caso sarebbe emersa l’irrituale preponderanza del ruolo della Presidenza del Consiglio dei ministri;

dalla conversazione telefonica in cui l’imprenditore Gemelli anticipa l’emendamento del Governo, emergerebbe chiaramente che l’accordo fosse «con Boschi e compagni», e che fossero «d’accordo tutti», dimostrando così il coinvolgimento dell’intera compagine governativa a diversi livelli. Negli atti processuali affiorerebbe, del resto, il ruolo del sottosegretario per la salute Vito De Filippo, in relazione a uno degli imprenditori indagati; emergerebbe il ruolo di esponenti della difesa, compreso il capo di Stato maggiore della Marina italiana; emergerebbero interessi legati a nomine di competenza governativa e a ripetuti tentativi di sbloccare, con provvedimenti amministrativi di almeno 3 diversi ministeri, l’uso di fondi pubblici per determinati progetti di interesse diretto, di taluni tra coloro che aspiravano alle medesime nomine e consulenze governative; sarebbero documentate le attività, oggetto di indagine, di alcuni amministratori locali che, intenzionati a trarre il massimo del profitto personale, non avrebbero avuto remore nello svilire la pubblica funzione rivestita. Le notizie riguarderebbero anche il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, indicato come «favorevole alle estrazioni», in relazione ai contatti, definiti «fortissimi», che suo fratello, europarlamentare, intrattiene con il Presidente del Consiglio;

da ultimo, si è appreso che il ministro Guidi ed il ministro Boschi, nonché il sottosegretario Vicari, in qualità di persone informate dei fatti, si trovano nella posizione di dover essere ascoltate dalla magistratura inquirente, che al momento risulta aver provveduto ad assumere sommarie informazioni dal Ministro per i rapporti col Parlamento. Aspetto ancora più grave, sembra emergere la circostanza per cui, sin dal gennaio 2015, il ministro Guidi sarebbe stato al corrente dell’indagine, senza però che ciò abbia determinato, a livello ministeriale, alcun provvedimento in relazione alla prevenzione dei possibili illeciti riguardanti le opere in oggetto;

in relazione alle informazioni di stampa relative al capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio De Giorgi, l’ipotesi accusatoria sarebbe quella dell’esistenza di un sistema di reciproci favori, in grado di assicurare «vantaggi convergenti» ai componenti della presunta associazione a delinquere, i cui componenti sarebbero, oltre al De Giorgi, il già citato compagno dell’ex ministro Guidi, il capo ufficio bilancio della Difesa e consulente del Ministero per lo sviluppo economico, Valter Pastena, e il facilitatore Nicola Colicchi. I capi d’accusa formulati sarebbero: associazione a delinquere, traffico d’influenze e abuso d’ufficio. In particolare, il compagno dell’ex ministro Guidi «sarebbe entrato in contatto con De Giorgi e il capo ufficio bilancio della Difesa, nonché consulente del Ministero dello Sviluppo Economico, Valter Pastena (…) per ottenere una concessione per un pontile militare all’interno del Porto di Augusta. Pontile in relazione al quale avrebbe ottenuto il permesso di far attraccare le petroliere, trasformando così la zona in un punto strategico dell’altro suo business, quello del petrolio subappaltato da Total a Tempa Rossa. In cambio avrebbe offerto il suo portafoglio di relazioni, a partire dal legame con la Guidi, nel cui dicastero sarebbe transitata buona parte dei fondi per la realizzazione delle nuove navi della Marina», il cui stanziamento ammonta a circa 5,4 miliardi di euro. Il «concreto riparto delle risorse globalmente stanziate sul capitolo 7419 dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico attraverso contributi ventennali» (Atto del Governo n. 128), come riportato dai resoconti parlamentari, è stato approvato dalla 4ª Commissione permanente (Difesa) del Senato, in una rapida seduta, lo scorso 7 gennaio 2015;

ritenuto, dunque, che:

l’articolo 54 della Costituzione recita solennemente che «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». La situazione soggettiva del Presidente del Consiglio dei ministri e di altri ministri, alla luce dei nuovi fatti emersi, risulterebbe sempre più incompatibile con la delicatezza degli incarichi da essi ricoperti, non potendo l’Italia proseguire ad avere un Governo le cui attività amministrative e normative, sono anche velatamente ravvisabili tra quelle riferite a interessi economici privati, se non di persone legate da rapporti di varia natura a esponenti del Governo stesso;

è imprescindibile che il nostro Paese e le sue istituzioni siano salvaguardate, nel loro prestigio e nella loro dignità, anche attraverso il doveroso principio di «onorabilità» per coloro a cui sono affidate funzioni pubbliche. Ne consegue la responsabilità politica ed amministrativa del Presidente del Consiglio dei ministri, che, ai sensi dell’articolo 95 della Costituzione, dirige la politica generale del Governo;

il Ministro per le riforme costituzionali ed i rapporti con il Parlamento cura gli adempimenti riguardanti l’informazione sull’andamento dei lavori parlamentari, l’azione di coordinamento circa la presenza in Parlamento dei rappresentanti del Governo, la partecipazione del Governo alla programmazione dei lavori parlamentari, la presentazione alle Camere dei disegni di legge, la presentazione di emendamenti governativi, l’espressione unitaria del parere del Governo sugli emendamenti parlamentari, i rapporti con gli altri organi delle Camere, la verifica degli impegni assunti dal Governo in Parlamento e non può dunque dirsi in alcun modo estraneo al contenuto degli atti governativi sottoposti al voto delle Camere, come nel caso di specie, configurandosi, laddove ciò fosse, comunque una gravissima responsabilità omissiva. I fatti citati, e la loro inquietante concatenazione temporale, gettano a giudizio dei proponenti un’ombra sul Ministro per i rapporti col Parlamento, esplicitamente chiamato in causa dall’ex ministro Guidi, sulla sua funzione istituzionale con riguardo alla cura e alla salvaguardia degli interessi pubblici, del principio generale di assoluta imparzialità, nonché della necessità di tutelare il rispetto delle procedure e delle leggi in tutte le forme, come espressamente previsto dalla Costituzione. Anche il solo sospetto che, attraverso la sua funzione di governo, il ministro Boschi abbia potuto influenzare l’andamento delle attività di Governo nella vicenda in questione, non ne consente la permanenza nel prosieguo dell’incarico. La situazione soggettiva e oggettiva dell’onorevole Boschi, laddove avesse omesso di vigilare sulle norme che, a sua firma, venivano poste al voto delle Camere sotto il vincolo della fiducia, appare del tutto incompatibile con la delicatezza dell’incarico ministeriale affidatole, anche a non voler fare riferimento all’intreccio tra i suoi legami familiari e l’attività del Governo di cui è parte, già ampiamente sollevati in riferimento alle vicende connesse alla pessima gestione di istituti bancari che hanno recato gravissimo danno all’economia di diverse regioni italiane e a decine di migliaia di risparmiatori;

con particolare riferimento al Presidente del Consiglio dei ministri, che ha parimenti difeso la necessità politica del progetto “Tempa Rossa” e, conseguentemente, della norma che ne ha agevolato l’iter, è evidente come la responsabilità politica e amministrativa del vertice del Governo non possa limitarsi a tale assunto. Egli è infatti il supremo rappresentante del Governo stesso e deve dunque assicurare il rispetto delle leggi e delle procedure, nonché il rispetto del principio di trasparenza degli atti e delle decisioni. Egli deve curare che le norme siano redatte correttamente, assicurando il giusto contemperamento tra gli interessi, a cominciare dall’interesse dei cittadini ad un ambiente sano ed al corretto uso dei fondi pubblici. Egli deve soprattutto assicurare che non vi siano ambiti, nell’ambito degli uffici del Governo che dirige, in cui possano aver luogo manovre o trattative come quella emersa dalle indagini e dalle inchieste giornalistiche, dal momento che la legge gli riserva espressamente il compito di adottare le direttive per assicurare l’imparzialità, il buon andamento e l’efficienza degli uffici pubblici, di promuovere le verifiche necessarie e richiedere al Ministro competente relazioni e verifiche amministrative in casi di particolare rilevanza. Egli deve assicurare, nell’ambito del potere esecutivo, che l’attuazione delle decisioni assunte non consenta alcuno spazio alle illegalità. Da quanto emerge, ciò non è avvenuto per la vicenda di cui in premessa. Si tratta quindi, quantomeno, di una responsabilità per condotta gravemente omissiva, stante l’assenza di tempestivi provvedimenti governativi, generali ed astratti, volti a mettere in sicurezza, ex ante, il sistema Paese dagli esiti perniciosi della commistione di interessi pubblici e privati, che anzi sembra prosperare proprio negli ambiti che dovrebbero prevenirla. Dall’altro lato, si configura comunque una palese responsabilità politica in vigilando, da parte del Presidente del Consiglio e dei Ministri competenti nelle scelte in questione, stante l’emergere, nella vicenda, che sembrerebbe paradigmatica di uno stile di governo, di plurime commistioni di interessi nell’ambito di più ministeri;

il coacervo di interessi che si delinea, lungi dal configurare una legittima interlocuzione con realtà imprenditoriali nazionali ed internazionali, assumerebbe invece, nell’ipotesi degli inquirenti, le forme illecite del traffico di influenze, se non fattispecie ancor più gravi, anche in ragione del fatto che la mancanza di informazione sulle attività di lobbying a qualunque titolo svolte favorisce spazi per manovre di cui la pubblica opinione è tenuta all’oscuro, fintanto che esse non divengono pubbliche per l’intervento della magistratura. Di una simile situazione il Governo e, soprattutto, chi ha la responsabilità di guidarlo, non può dirsi immune, tanto più in quanto il dibattito parlamentare ne ha individuato pubblicamente e precisamente i contorni, prima che la norma citata venisse approvata e, dunque, prima che entrasse in vigore. Vi sarebbe dunque stata, in presenza di volontà politica e di autentico rispetto per il principio di trasparenza, ogni possibilità di approfondire i rilievi critici esposti e così impedire che i fatti in oggetto avessero luogo, tanto più alla luce del fatto che i dati contenuti nel primo Rapporto OCSE sulla corruzione internazionale, presentato a Parigi proprio a fine 2014, mostrano come il settore delle estrazioni (petrolio, gas e risorse minerarie) costituisce tuttora il settore a maggior rischio corruzione. In un campione di 427 casi di corruzione registrati tra il 1999 e la fine del 2014, quelli riguardanti il settore citato rappresentano da soli il 19 per cento del totale;

considerato, infine, che a giudizio dei proponenti in perfetta coerenza con l’attività governativa enunciata, risulterebbe, inoltre, la palese, oltreché illecita, volontà di sabotare politicamente il referendum abrogativo del 17 aprile 2016, concernente le operazioni di estrazione, produzione e stoccaggio di idrocarburi;

visto l’articolo 94 della Costituzione e visto l’articolo 161 del regolamento del Senato della Repubblica, esprime la propria sfiducia nei confronti del Governo.

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